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venerdì 13 giugno 2014

LA GUIDA AL LIMITE


È quella che ci si aspetta dai piloti professionisti, di tutte le categorie, in particolar modo da quelli della F1. Spesso però si è portati a confondere il concetto di “guida al limite” solo con quello di chi conduce la macchina da corsa giusto sulla soglia della tenuta, della stabilità e della conservazione della meccanica, proprio sul ciglio del baratro, concetto noto anche come “giro da qualifica” o più coloritamente “giro della morte”.

Ma a ben vedere, nel motorsport, in ogni categoria i piloti devono guidare al limite, in ogni istante di gara ed in ogni fase della stessa. Quindi non solo Formula varie, basti pensare ai rally (mamma mia, se non è limite quello!), ma anche nel turismo e nell’endurance, dove magari in molti sono erroneamente portati a pensare che nelle gare di durata il mezzo debba essere preservato e protetto come una reliquia per poter dare il risultato, e non piuttosto brutalmente sfruttato e strapazzato come in si fa in F1. Ma quale F1? Chiederà più di qualche scettico, quella di una volta? Non certo quella di oggi!
Ebbene no, dico io, anche quella di oggi. Per capire ciò basta ampliare il limite del… “limite”, cioè realizzare che il pilota ha come compito quello di massimizzare la prestazione del mezzo che gli viene messo a disposizione, e questo in ogni istante in cui lo guida; solo che, nel fare ciò, deve anche parametrarsi con il contesto di gara. Cioè deve gestire le risorse che ha a disposizione per il tempo e nelle diverse occasioni in cui gli servono.

Ed ecco, la parola che i (cosiddetti) puristi non vogliono proprio sentir pronunciare: gestione. Ma la guida sportiva, che significa strizzare fuori il massimo da macchina e pneumatici, non vuol necessariamente dire che ci si ferma solo quando l’auto ha la lingua di fuori, il fumo le esce da sotto il cofano e le gomme si sfilacciano in brandelli come se fossero state prese a morsi da un branco di cani rabbiosi. Bisogna fare le dovute proporzioni e realizzare che anche quando non si osservano fenomeni scenografici e truci, il pilota è in realtà costantemente impegnato a sfruttare e dare fondo a tutto quello cui può attingere. In competizione e con lo spirito atrocemente agonistico di cui sono dotati, i piloti non si risparmiano e non risparmiano il mezzo, non lesinano nel tirare il motore al maggior numero di giri che gli è consentito, anzi, se potessero andrebbero sempre oltre, i giri motore sono sempre troppo pochi. I piloti si attaccano sempre con prepotenza ai freni, si aggrappano sempre con ferocia alle gomme. E non potrebbe essere altrimenti.

Ma se il motore fa quei giri lì, quelli deve fare, se deve durare 4-5 gare, per quelle durerà. Ma non è il pilota che gli farà fare la vita designata (salvo qualche eccezione in senso opposto), quanto piuttosto una adeguata progettazione. E lo stesso vale per le gomme, che siano fatte per durare 50 giri o 5, esse sono sempre trattate al massimo del loro potenziale.
Insomma, non c'è gestione. Nelle gare automobilistiche c’è sempre la guida al limite. Il punto sta nel focalizzare per bene dove questi sia piazzato, ed è qui che il pilota mostra di saper fare il suo mestiere.

Santino con motto di Zapata ritrovato
in Canada dentro una Force India distrutta

Poi ci sono quelli che hanno un senso del limite talmente lontano dalla realtà da non percepirlo con precisione: certi pensano di esserne padroni solo perché hanno portato a termine mille mila gare e si chiamano Max, ma appena azzardano quel pelino in più fanno sfracelli di sé e del proprio compagno di squadra buttando alle ortiche in un sol colpo tutta la pur misera credibilità guadagnata.
Altri invece sono talmente convinti della propria superiorità che il limite credono esista solo per gli altri, generalmente si chiamano Sergio, hanno alle spalle una gigantesca sponsorizzazione telefonica e sono quelli che si stizziscono se durante una competizione gli altri concorrenti non si fanno da parte al loro apparire o, apriti cielo, tentano addirittura di sopravanzarli, e questo vale anche quando sono in netta inferiorità di condizione. Nella mente di costoro tutto è lecito, ma niente è criticabile. E quando alla fine dell’adunanza ne rimarrà uno solo, quell’unico immortale lì, non sarà di certo uno scozzese delle Highlands. No, nella loro mente dovrebbe trattarsi piuttosto di uno spocchioso ed arrogante ragazzotto sudamericano.

Ma per tutti, nonostante le numerose differenze, esiste un denominatore comune: la guida al limite è un fattore intrinseco al loro essere, riscontrabile anche negli esami del sangue. È quello per cui vivono (anche quelli convinti di non poter morire). Oltre ai soldi naturalmente. E alle belle donne. E alle stramegamacchine sportive. E agli occhiali da sole da scemo. E al cappellino da baseball col frontino dritto come una mensola per i libri. E alla casa in Svizzera o nel Principato di Monaco. Vabè, ciao.

Alessandro
Team Bielle Roventi
Campionato Senna

1 commento:

Patrizia ha detto...

Bell'articolo, da far leggere al signor "Guido un cetriolo"